Le controversie in materia del lavoro e l’immunità giurisdizionale degli Stati ed enti esteri: la Corte Suprema della Cassazione affronta la questione del grado di estensione dell’immunità.

La Corte Suprema della Cassazione ha escluso la giurisdizione delle autorità giudiziarie italiane in relazione ad un ricorso presentato da un dipendente di una missione diplomatica straniera in Italia. E’ ben noto che la legislazione e la giurisprudenza italiane già dagli anni 60 hanno offerto una tutela ampia e rafforzata del lavoratore dipendente. Non a caso, da più parti si è recentemente ravvisata una supposta necessità di riformare le norme che attribuiscono ai lavoratori dipendenti una tutela particolarmente incisiva in caso di licenziamento, ma le quali al tempo rendono il mercato del lavoro estremamente rigido. Peraltro la legislazione attuale limita le possibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore oppure cambiare le sue mansioni nel corso del rapporto. Ai sensi delle norme vigenti, il datore del lavoro non può licenziare il dipendente se non per “giusta causa” oppure per “giustificato motivo”. Il lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo può impugnare il licenziamento fare causa nei confronti del proprio datore di lavoro, deducendo la illegittimità del licenziamento, al  fine di essere reintegrato nel posto di lavoro e/o per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del licenziamento stesso. In tal caso, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che il licenziamento era sorretto da una “giusta causa” o da un “giustificato motivo”. Se, come spesso accade, il Tribunale decide a favore del lavoratore, il datore del lavoro, se ha meno di 15 dipendenti in servizio, può evitare di dover riassumere il dipendente, pagando in luogo della riassunzione, un importo non inferiore all’equivalente di sei mensilità di stipendio (e talvolta molto di più, a seconda dell’anzianità del lavoratore) a titolo di risarcimento del danno. Tuttavia, i datori di lavoro con più di 15 dipendenti in servizio non hanno la possibilità di scegliere di risarcire il danno anziché riassumere il lavoratore e, quindi, possono essere costretti a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondere tutte le mensilità di stipendio che il lavoratore avrebbe ricevuto ove avesse lavorato nel periodo intercorso tra il licenziamento e la reintegrazione. C’è chi sostiene che l’attuale quadro legislativo tende a favorire coloro che occupano lo stesso posto di lavoro da decenni, che non hanno mai cambiato lavoro e che non intendono farlo, a discapito dai giovani, che, a causa della rigidità del mercato di lavoro e della mancanza di dinamismo in entrata ed in uscita, non riescono trovare uno stabile impiego. Al contempo, altri sostengono che l’attuale quadro legislativo rallenta lo sviluppo e la innovazione economica, dal momento che impedisce ai datori di lavori di gestire e adeguare le loro imprese e risorse umane in modo da rendere le loro attività più efficienti e. quindi più competitive. Data l’ampia tutela data dalla legislazione e dalla giurisprudenza italiana, la questione dell’immunità degli Stati e degli enti esteri dalla giurisdizione italiana in materia del lavoro è di natura delicata.

In Italia, come altrove, ci sono rappresentanze diplomatiche dove lavorano sia cittadini italiani che stranieri. Tali rappresentanze, in conformità al diritto internazionale, godono di immunità dalla giurisdizione locale con riferimento alle attività svolte in adempimento delle loro finalità e compiti istituzionali. I Tribunali italiani, come quelli in tutto il mondo, hanno esaminato la questione dell’estensione di tale immunità in materia di rapporti di lavoro. La sentenza n. 1981 del 13 febbraio 2012 della Corte di Cassazione, sezioni unite. ci fornisce un quadro dei criteri utilizzati per delimitare la giurisdizione delle corti italiane sulle controversia di lavoro tra rappresentanze diplomatiche estere ed i loro dipendenti. Il caso esaminato dalla Corte Suprema riguardava un portiere già alle dipendenze della rappresentanza diplomatica estera, il quale si era assentato dal lavoro per motivi di malattia, mentre in verità era stato arrestato per aver commesso un reato. Il portiere aveva patteggiato la pena ed era rientrato sul luogo di lavoro. La rappresentanza diplomatica, apprendendo il vero motivo dell’assenza temporanea del lavoratore, gli comunicava licenziamento per giusta causa. Il portiere impugnava il licenziamento, chiedendo al Giudice del lavoro di reintegrarlo nel posto di lavoro. La rappresentanza diplomatica estera ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, deducendo che l’eventuale ordine di reintegra nel posto di lavoro, avrebbe costituito un’interferenza non ammissibile con il suo diritto sovrano della rappresentanza diplomatica estera di fare valutazioni e assumere decisioni in merito alla propria organizzazione. La Corte Suprema ha quindi ritenuto insussistente la giurisdizione italiana in relazione alla controversia.

La Corte Suprema, tuttavia, ha riconosciuto la necessità di contemperare l’esigenza di non interferire con l’esercizio da parte dello stato etero delle iniziative sovrane con quella di assicurare la tutela dei diritti dei lavoratori e che, pertanto, l’immunità dello stato estero non può considerarsi illimitata. In particolare, la Corte Suprema sembra recepire una nozione di immunità limitata alla stregua della quale, non si applica:

1) ove la controversia riguarda un rapporto di lavoro che inerisce allo svolgimento di funzioni meramente ausiliarie rispetto al perseguimento delle funzioni istituzionali dello stato estero;

2) ove la controversia, pur interessando un lavoratore che svolge una funzione che attiene direttamente allo svolgimento di funzioni istituzionali dello stato estero, riguarda soltanto aspetti patrimoniali che di per sé non sono idonei ad interferire con l’esercizio delle predette funzioni istituzionali.

Così la Corte giunge ad affermare il principio per cui l’immunità dello stato estero non impedisce la giurisdizione del giudice italiano in materia di controversia di lavoro, purché la valutazione della pretesa del lavoratore non richiede valutazioni, indagini e/o decisioni che potrebbero interferire con le iniziative o le condotte dello stato estero, le quali sono espressione del suo potere sovrano di auto-organizzazione. Diversamente, trova applicazione il principio consuetudinario “par in parem non habet jurisdictionem” (tra pari non sussiste giurisdizione).

Le controversie in materia del lavoro e l’immunità giurisdizionale degli Stati esteri

Michael Louis Stiefel

Laurea in Giurisprudenza, con lode, l’Università di Roma “La Sapienza”, 1998. Laurea (Bachelor of Arts) in arte oratoria e lingua russa, con lode, phi beta kappa, Bates College (Maine, USA), 1988. Lingue: Inglese, Italiano e Russo

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi