Dirigenti pubblici: le riorganizzazioni e il destino incerto degli incarichi a tempo determinato.

Nota alla sentenza del Tribunale di Roma, sez. II lavoro, 2 maggio 2023, n. 4429 – Un caso emblematico approda al Tribunale di Roma e poi alla Corte d’Appello di Roma, accendendo i riflettori su un tema di notevole rilevanza per i dirigenti pubblici: Qual è la sorte degli incarichi dirigenziali in caso di riorganizzazioni?

Michael Louis Stiefel – Avvocato Specialista in Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale
Clicca qui per leggere la presente nota e la sentenza del Tribunale di Roma, sez. II lavoro, 2 maggio 2023, n. 4429 in pdf

I.                  Il caso.

Un lavoratore, assunto a tempo determinato con un contratto quinquennale per un incarico dirigenziale di seconda fascia, si è visto recapitare una comunicazione di licenziamento motivato da “esigenze di riorganizzazione” del Ministero. La sua decisa risposta giudiziale ha aperto un acceso dibattito, con implicazioni significative per la tutela dei diritti dei dirigenti pubblici.

Le posizioni a confronto.

Il dirigente ha contestato la legittimità del licenziamento, evidenziando come la legge non preveda la riorganizzazione come giusta causa di recesso per i dirigenti a tempo determinato. A suo avviso, il Ministero avrebbe dovuto assegnargli un altro incarico di pari livello, anziché licenziarlo.

Il Ministero ha contestato la giurisdizione del Giudice ordinario e ha chiesto il rigetto del ricorso nel merito.

La sentenza del Tribunale di Roma.

Con una decisione in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso del dirigente.

La sentenza ha statuito l’illegittimità del licenziamento, in quanto:

  • la legge prevede che il licenziamento del dirigente pubblico possa essere fondato solo su ragioni di carattere soggettivo, ovvero gravi inadempienze del dirigente;
  • la riorganizzazione dell’ufficio non può costituire una giusta causa di licenziamento del dirigente pubblico, poiché il rapporto di lavoro di questi è regolato da norme specifiche che non prevedono tale possibilità;
  • la riorganizzazione dell’ufficio non è stata effettiva, ma ha avuto carattere meramente formale, in quanto il Ministero ha continuato ad assumere altri dirigenti “esterni”.

Il Tribunale ha quindi condannato il Ministero al pagamento delle retribuzioni perdute dal ricorrente a seguito del licenziamento fino alla naturale scadenza del contratto, prevista per dicembre 2025.

Il ribaltamento della sentenza da parte della Corte d’Appello di Roma e le sue implicazioni.

Tuttavia, in data 26 gennaio 2024, la vicenda ha preso una svolta inaspettata, con la riforma integrale della sentenza del Tribunale da parte della Corte d’Appello di Roma che, mediante lettura di dispositivo, ha rigettato le domande del dirigente, compensando le spese di entrambi i gradi del giudizio.

La sentenza della Corte d’Appello, con le relative motivazioni del rigetto del ricorso del dirigente, non è stata ancora pubblicata, ma desta non poche perplessità e lascia aperti delicati interrogativi sulla legittimità di revoche di incarichi dirigenziali a tempo determinato in caso di riorganizzazioni.

Un tema di grande importanza.

La questione assume una rilevanza primaria per i dirigenti pubblici assunti a tempo determinato, che si ritrovano, infatti, esposti a un rischio concreto di ingiusti e repentini pregiudizi in termini di carriera e professionalità. La evidente difformità di vedute tra i giudici di primo e secondo grado crea un’incertezza che mina la stabilità del loro lavoro.


II.              Punti da approfondire e spunti di riflessione.

Nell’attesa di leggere le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Roma, non possiamo che interrogarci sulle ragioni che hanno indotto i Giudici di seconde cure a riformare la sentenza del Tribunale di Roma.

La Corte d’Appello smonterà il perno della sentenza del Tribunale di Roma?

Al riguardo, rimane da vedere se e, in caso affermativo, su quali basi, la Corte d’Appello di Roma si sia discostata dal consolidato indirizzo interpretativo – che costituisce il perno della sentenza del Tribunale di Roma – secondo il quale:

1) “la recedibilità del rapporto di lavoro del dirigente pubblico … è regolata dall’art. 19, comma 1 ter t.u.165\91, introdotto nel corpo di detta norma dall’art. 40, co. 1 lett. b) del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, il quale stabilisce che “gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all’articolo 21, comma 1, secondo periodo” il quale, a sua volta, dopo avere stabilito che “il mancato raggiungimento degli obiettivi… ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano… l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale”, al secondo periodo aggiunge che “… in relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l’incarico collocando il dirigente a disposizione… ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo”;

2) nella normativa in questione “manca… qualunque riferimento, come giusta causa di revoca, ad eventuali “processi di riorganizzazione”.

Un aspetto carente della sentenza del Tribunale di Roma: l’omessa motivazione del distinguo tra dirigenti non di ruolo e dirigenti di ruolo ai fini delle tutele.

Al tempo stesso, volendo rivolgere un occhio critico alla sentenza del Tribunale di Roma, si può osservare che essa risulta carente in un passaggio – per quanto non decisivo ai fini della sua motivazione – in cui opera un laconico distinguo, quanto alle tutele, tra la posizione del dirigente non di ruolo – il cui rapporto di lavoro è a tempo determinato – e quella del dirigente di ruolo – il cui rapporto di lavoro è a tempo indeterminato. Secondo il giudice di primo grado, invero, il dirigente non di ruolo non potrebbe subire una legittima revoca per motivi organizzativi, mentre quello di ruolo potrebbe invece subire una legittima revoca di un incarico dirigenziale a tempo determinato, per motivi organizzativi; tuttavia, il giudice non esplicita le ragioni di quest’ultimo distinguo e lascia aperti, quindi, rilevanti interrogativi in proposito.

Sul punto, sembra, invero, che nel nostro ordinamento non vi sia alcuna norma che preveda una facoltà incondizionata della pubblica amministrazione di revocare – per motivi organizzativi – incarichi contrattuali a tempo determinato affidati a dirigenti pubblici, siano essi di ruolo o non di ruolo.

Al riguardo, occorre tener presente, che l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 148 del 2011, non prevede una facoltà di revoca di incarichi dirigenziali per motivi organizzativi, bensì la possibilità per la P.A. di disporre il passaggio ad altro incarico per specifiche “esigenze organizzative” della cui esistenza l’Amministrazione deve evidentemente dare conto con un’apposita motivazione, suscettibile di controllo giurisdizionale. Pertanto, l’eventuale revoca di un incarico dirigenziale non accompagnata da un contestuale e motivato passaggio del suo titolare ad altro incarico dirigenziale potrebbe ben considerarsi illegittima per violazione di legge.

Il problema della revoca di incarichi dirigenziali a tempo determinato e la tutela dell’interesse pubblico alla imparzialità, al buon andamento e alla continuità dell’azione amministrativa.

Se alziamo lo sguardo dallo specifico contesto e ampliamo la nostra panoramica, vediamo che negli ultimi anni, a seguito di ciascun cambio di compagine governativa, i nuovi governi hanno quasi sempre realizzato e attuato progetti di “riorganizzazione” più o meno ampi dei dicasteri. Dette riorganizzazioni venivano spesso realizzate mediante l’introduzione di meccanismi di caducazione automatica degli incarichi dirigenziali contestualmente alla scelta – mediante procedimenti di interpello – di nuovi soggetti ai quali affidare gli incarichi dirigenziali.

La legittimità di quest’ultima prassi appare alquanto discutibile se si considera che lede, da una parte, l’interesse pubblico all’imparzialità, al buon andamento e alla continuità dell’azione amministrativa e, dall’altra, il diritto del dirigente a completare l’incarico a suo tempo affidato, che viene travolto senza alcun contestuale passaggio del dirigente ad altro incarico dirigenziale, senza alcuna valutazione della sussistenza o meno di specifiche “esigenze organizzative” e senza alcuna valutazione dei risultati raggiunti e delle attitudini dimostrate dal dirigente nel corso dell’incarico.

Tornerò su quest’ultimo argomento in un ulteriore articolo di approfondimento. L’articolo prenderà spunto da un caso concreto: un dirigente pubblico di ruolo che si è visto revocare un incarico dirigenziale di prima fascia (di direzione generale) nell’ambito di un processo di riorganizzazione. Inoltre, non appena sarà pubblicata la sentenza della Corte d’Appello di Roma che riforma la sentenza sopra commentata, pubblicherò una nota con un’analisi delle sue motivazioni. Se desideri ricevere i prossimi articoli quando usciranno, iscriviti qui.

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Sono cultore del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e seguo con vivo interesse la tematica delle riorganizzazioni, dei loro riflessi sui diritti dei lavoratori pubblici e degli strumenti di tutela.

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Roma, 21 febbraio 2024

Michael Louis Stiefel – Avvocato Specialista in Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale – m.stiefel@slss.it

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Dirigenti pubblici: le riorganizzazioni e il destino incerto degli incarichi a tempo determinato

Michael Louis Stiefel

Laurea in Giurisprudenza, con lode, l’Università di Roma “La Sapienza”, 1998. Laurea (Bachelor of Arts) in arte oratoria e lingua russa, con lode, phi beta kappa, Bates College (Maine, USA), 1988. Lingue: Inglese, Italiano e Russo

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